rock ‘n roll

Il ballo dei giovani boomers (seconda puntata: lezioni di twist)

Nella precedente puntata abbiamo riportato un brano in cui Malcolm X descrive il modo di ballare istintivo, diverso dal ballo europeo, dei neri americani già negli anni 30-40.  Musiche e balli che accenderanno il bianco rock’n roll.

Bianco rock’n roll. Ma Chuck Berry non era forse nero? Ma Chuck Berry è un nero che fa il bianco.

Ecco vorrei chiarire subito che la musica e il ballo dei neri americani è cosa a parte e diversa dal modo di ballare anni 80 che vorrei descrivere. E tuttavia, è stato elemento detonatore, necessario per generare quell’altro tipo di ballo, per cui sarà ancora necessario parlarne.

Siamo ora alla metà anni 60. Il nostro boomer, ancora infante, si trova a gattonare o a fare i primi passi ascoltando alla radio il Twist, vedendolo forse alla televisione.

Il Twist probabilmente penetrò  nella società più del rock’n roll di cui è stretto derivato. Il rock’n roll è ancora un po’ estremo, di nicchia, in qualche modo collegato col fenomeno un po’ delinquenziale dei “teddy boy”, anche molto statunitense. Il Twist invece è un prodotto che funziona per tutti, negli anni del boom; è una prima, consistente affermazione ludica di un nuovo mondo consumistico. E forse, per la prima volta in modo netto, è un ballo di un individuo, che ancora si relaziona strettamente ad altri, ma supera il contatto fisico. Ciascuno un po’ per sé, anche se di fronte all’altro, toccandosi, relazionandosi. Questa è modernità.

Caratteristiche un po’ standardizzate: non è difficile, ha obbligati ma non stretti. Non richiede le qualità istintive che ci ha raccontato Malcolm x, ma nemmeno richiede studio, è molto semplice; quasi una perfetta metafora del paradiso consumistico: facile, allegro, che coinvolge più persone ma che garantisce uno spazio particolare e riservato all’individuo. Paul Ginzborg, nella sua Storia d’Italia dal secondo dopoguerra, riporta la canzonatura di un governo Moro, di cui si diceva che fosse come il Twist: ci si muove tanto, ma si resta sempre nello stesso punto. Pier Paolo Pasolini registra a modo suo, in Uccellacci ed uccellini (1966), le caratteristiche “semi individuali” di questo nuovo modo di ballare, dal juke box di una borgata rurale nei pressi di Roma, con colonna sonora di Ennio Morricone.

La scuola autogestita di ballo che filma Pasolini non è esattamente “twist”. Ma d’altronde, c’era tutto un esplodere di balli, ciascuno secondo le sue mosse.

Ecco alcuni di questi passi esemplificati magistralmente da un James Brown già non più giovanissimo, e ingrassato, ma sempre straordinario, modello per le future star Michael Jackson e Prince

Il terzo passo illustrato nel video precedente è il “funky chicken”. Questo ci riporta ad un’altra meravigliosa testimonianza filmata sul ballo dei neri americani. Siamo nel 1972. Il 20 agosto la Stax records organizza un concerto di beneficenza in memoria del settennale della rivolta della comunità afroamericana di Watts. Una sorta di Woodstock nera, Wattstax. Rufus Thomas, in magnifico completo rosa con pantaloncini corti e stivali, canta Funky Chicken e la folla invade il campo. Donne, uomini, bambini che lasceranno dimostrazione che le parole di Malcolm X sulla istintiva capacità del ballo dei neri non erano affatto errate.

(2-continua)

 

 

Il ballo dei giovani boomers. (prima puntata)

E’ da questa estate, quando sono andato a ballare in serate in cui veniva messa musica new wave anni ’80, che ho voglia di scrivere qualcosa sul ballo nelle disco rock anni ’80. Forse l’incubazione (termine adatto) di questo tema è quasi matura in me. Mi è tornata in mente questa esibizione live alla BBC dei Joy Division, 1979, ora 40 anni fa. L’ossessività molto precisa del loro sound, in particolare in questo pezzo, è marcata dalla inquietante presenza e modo di ballare di Ian Curtis. Fa paura. Comincerei da li. da questo estremo che era il suo modo di ballare, senza finzione, senza mediazione, senza rete. Questo ascoltavano i cosiddetti “boomers” a 16 anni. (non tutti, certo).

Ian Curtis soffriva di epilessia. Morbus sacer, come lo chiamavano gli antichi, che interpretavano gli attacchi di questa malattia come interventi di divinità sul corpo dell’ammorbato.

La tesi che qui provo a proporre è che, durante gli anni 80 del secolo scorso, si completa il percorso sociale e musicale attraverso cui il ballo di musica popolare diviene una manifestazione solipsistica e talvolta narcisistica, laddove in precedenza era una forma di approccio e incontro/corteggiamento fra persone attaverso il contatto. In questo senso Ian Curtis, che muore nel 1980 ma la cui voce percorrerà il decennio successivo, e risuonerà nelle disco nelle serate “new wave”, è l’emblema di questo isolamento solipsistico, disagiato.

Tesi contestabilissima, forse sbagliata. Ma sarà comunque per me, e spero per gli eventuali lettori, piacevole percorrere questa idea anche attraverso gli esempi proposti.

Partiamo dall’inizio. L’inizio è l’inizio del rock, cioè il rock’n roll.

Tutto sommato tutto era già lì, nei movimenti pelvici di Elvis. Elvis individualizzava, divisticamente, il ballo dei neri americani.

C’è una bella scena di Malcolm X di Spike Lee che fa immaginare quel che potevano essere le sale che il non ancora ventenne Malcolm Little frequentava ad Harlem nei primi anni ’40. Nello specifico, la Roseland Ballroom, dove aveva lavorato come lustrascarpe.

Leggiamo dalla autobiografia di Malcolm X questa nota sul ballo: “Ero in mezzo alla folla delle coppie che si agitavano furiosamente al ritmo della musica quando d’improvviso seppi come si faceva. Fu come se improvvisamente qualcuno avesse acceso una luce. I miei istinti africani per tanto tempo repressi esplosero e si scatenarono con tutta la loro violenza.   Forse perché ero stato tanto tempo a in mezzo ai bianchi a Mason, avevo sempre creduto e temuto che ballare richiedesse un certo ordine o un insieme di passi e figure specifiche, così come il ballo è concepito dai bianchi. Ma qui tra la mia gente molto meno inibita di quelli, mi accorsi che si trattava semplicemente di lasciare che i piedi, le mani e tutto il corpo si abbandonassero spontaneamente a quegli impulsi che la la musica stimolava”  E ancora: “I bianchi hanno ragione di credere che i negri siano dei ballerini nati. Lo sono anche i bambini, fatta eccezione per quei negri di oggi che sono cosi “integrati”, come lo ero stato io, che i loro istinti sono inibiti” (Alex Haley e Malcolm X, Autobiografia di Malcolm X)

 

1- continua