Month: dicembre 2017

Ancora sulle biblioteche III (parentesi sulla Biblioteca GAM)

Una breve parentesi sulla questione “Biblioteca GAM” di Torino. Dopo il susseguirsi di notizie dei giorni scorsi, culminati con la dichiarazione del presidente della Biblioteca Nazionale che egli non ha alcuna intenzione di assorbire la biblioteca della GAM per mancanza di spazio, ieri la triste notizia dei 28 “esuberi” fra i lavoratori della Fondazione Torino Musei, di cui 6 alla Biblioteca GAM e 6 alla fototeca GAM. Non conosco il dato degli addetti che rimarrebbero impiegati per la Bibliototeca (e per la fototeca, di cui scopro l’esistenza), ovvero il numero complessivo degli addetti finora.

La cosa spiega la vera ragione per cui si è parlato di accorpamenti: come si intuiva chiaramente, si trattava di tagli, in conseguenza della riduzione di finanziamento del Comune di Torino alla Fondazione Musei di 1,5 milioni di euro l’anno. E come sempre, i primi a farne le spese sono i lavoratori. Licenziamenti (eufemisticamente detti esuberi).

Vorrei fare qui però un ragionamento freddo. Si è detto di 6 addetti che verranno licenziati per la Biblioteca GAM. Questo significa che gli addetti sono di più, dato che non è stato detto che la biblioteca chiude. Se ipotizziamo che 6 ne rimangano, avremmo oggi 12 addetti (il dato non l’ho trovato in rete, lo ipotizzo qui)

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Un’immagine della sala di lettura della GAM

Però, la biblioteca, oggi, può contenere direi al massimo 30 persone alla volta, essendoci tre tavoli da otto più “capotavola”. Chiaramente un rapporto di 1 a 3 fra personale e visitatori sarebbe demenziale. E’ vero che, nel relativamente grande spazio oggi occupato dagli enormi – e oggi inutili – schedari dei 140.000 volumi si potrebbe inserire altri posti, diciamo 15, portando così la capienza massima da 30 a 45 persone. In ogni caso un addetto per quattro visitatori pare comunque tantissimo. Mi chiedo come mai gli orrendi schedari siano ancora lì, facilmente eliminabili con uno schedario elettronico. Eppure il personale per effettuare la digitalizzazione dello schedario evidentemente non mancava.

Questo non per dire che i licenziamenti sono da fare. Ma per dire che le risorse, umane e no, non sono state, non sono, ben utilizzate. E questo è grave, perchè, al di là del fatto che genera posti di lavoro troppo facilmente “tagliabili” è qualcosa che pesa sulla spesa pubblica, e quindi sulle tasse e quindi sulla pressione fiscale, e quindi con la difficoltà dei lavoratori contribuenti anche non pubblici di non fare fallire la propria attività, di avere drenato denaro per colmare la spesa pubblica non efficiente anzichè, ad esempio, fare investimenti ecc.

Non è un tema “di destra”, è un tema generale di corretto utilizzo delle risorse pubbliche. Se, a fronte di una abbondante forza lavoro assunta, si fosse reso efficiente al massimo il servizio (ad esempio, aumentando con l’eliminazione dello schedario i posti di lettura di ben un terzo!), oppure adottando altre soluzioni (non necessariamente dentro la GAM) per far si che una biblioteca di ben 140.000 volumi di grande valore non avesse una sala di lettura tipo buco di culo e assediata da enormi schedari marroni, e scarsamente accessibile all’interno del complesso della GAM, è possibile che i lavoratori non sarebbero stati in esubero, perchè utili per il servizio potenziato.

Essendo il servizio poco sviluppato (e mal progettato, aggiungo) essi diventano un costo inutile. Ad occhio però, direi che gli “esuberi” dovrebbero colpire soprattutto la dirigenza.

 

 

 

 

 

 

 

Ancora sulle biblioteche II

Nel precedente scritto riprendevo la questione “biblioteca oggi”, già accennata a proposito della nuova biblioteca di Tianjin, raccontando del nuovo concorso per la biblioteca di Milano Lorenteggio, di come le sue linee guida siano alla ricerca di un nuovo tipo di biblioteca, sulla base delle più recenti realizzazioni (ho parlato degli Idea Stores di Londra, ma altri esempi esaminati sono, tra altri, la notevole e da poco ultimata biblioteca di Aarhus e le Library Parks di Medellin). Ho poi raccontato che a Torino è ritornata in auge l’ipotesi di chiusura della biblioteca della Galleria d’Arte Moderna, questione che vorrei ora trattare più nel dettaglio, per poi tornare nuovamente al tema generale.

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Giancarlo Mazzanti – Biblioteca Parque EspanaÂ, Medellin, Colombia  (Photographer: Sergio Gomez)

Ed ero arrivato al punto: se la chiusura di una biblioteca esistente viene effettuata secondo un piano di riorganizzazione più efficiente, va bene. Se invece è solo un taglio, no. Nota: si parla della interruzione o riduzione del servizio di questa biblioteca dal 2013, quando ancora era sindaco Fassino, per cui questa decisione, e questa polemica locale, non è una questione “partitica”, almeno per quanto mi riguarda. (per una cronistoria scritta in linguaggio colorito, nel blog di Gabriele Ferraris, si può partire da questo articolo seguendo a ritroso i link in calce ad esso) (nota 1)

L’assessora Leon ha dichiarato che i volumi della GAM (molti, circa 140.000) verranno trasferiti alla Biblioteca Nazionale, e tutto questo nell’ambito di un piano volto alla realizzazione di un “polo unificato delle biblioteche di storia dell’arte” (che comprende in realtà anche biblioteche di altre istituzioni, ad esempio la Accademia Albertina e l’Università).

La secca smentita del direttore della Biblioteca Nazionale dimostra che questa pianificazione in realtà non esiste. Tutte balle.

Ora, non mi interessa qui la questione di cronaca, nè la polemica sulla eventuale incompetenza e/o cialtroneria degli amministratori pentastellati.

Quel che mi interessa ora è rilevare due questioni

  1. Una biblioteca è una collezione che si forma con l’istituzione che la genera. E’ possibile riorganizzarle senza deprivare l’istituzione che le originava, il tessuto culturale, ancora vivo? Questa operazione di unificazione-concentrazione è veramente utile? E se si, “i trapianti” si possono fare tranquillamente o la cosa è a rischio di devitalizzazione?
  2. Per contro: questa molteplicità di istituzioni (in questo caso Ministero, Città di Torino, Università, Accademia, Politecnico se si considera anche la biblioteca di Architettura) non genera un eccesso di particolarismi, di veti incrociati, tali da essere da freno a qualsiasi innovazione e nuova visione riorganizzativa?

Sicuramente in questa faccenda vedo due specie di biblioteche/centri di produzione e riproduzione culturale, che vanno chiarite in ogni caso nei piani riorganizzativi (ammesso che in Italia si possa ancora fare qualcosa, oltre che starnazzare): le biblioteche di punta (concentrazioni di alto livello, collegate alla ricerca), e le biblioteche generali (diffuse nel territorio, centri socioculturali, presidi diffusi, del tipo della biblioteca di Lorenteggio di cui abbiamo parlato).

(nota 1. Con l’autore Gabriele Ferraris, su facebook, ho avuto uno scambio polemico: gli chiedevo i dati sulla biblioteca: il numero dei visitatori, i reali costi complessivi del suo mantenimento ecc.  Lui in pratica mi ha mandato a catafottere. Non aveva del tutto torto, credo, perchè il problema è che forse, questi dati, proprio non esistono! Comunque non sono disponibili al pubblico della rete)

Ancora sulle biblioteche, I

La frase di Michel Serres che qui ho riportato, in cui si dichiara l’inutilità dell’ammassare milioni di libri in una biblioteca dice solo una parte della verità.

L’altra parte è che le biblioteche oggi sono importanti nelle nostre città, non solo, non tanto, per la loro attività base (custodire libri e fornire il servizio della loro lettura), quanto per costituire un concentrato luogo pubblico di studio e di socializzazione. Un argine, un presidio contro la disgregazione culturale e sociale, che l’imperio del cosiddetto “libero mercato” (“libere volpi fra libere galline” come pare dicesse Guevara) genera nelle nostre città.

Questo fa sì che i servizi delle varie municipalità diano giustamente attenzione a questo tipo di servizio e a come esso possa essere potenziato con le dovute innovazioni.

E’ in questa chiave che a Milano il servizio biblioteche intende condurre il concorso di progettazione (non “concorso di idee”, fanno sul serio) per la nuova biblioteca di Lorenteggio, oggi in una struttura sottodimensionata. Nelle “Linee guida alla progettazione”, un documento ben fatto e di sostanza, emerge un modello di biblioteca che è sostanzialmente il modello di un centro culturale e di aggregazione sociale, sulla scorta di esempi internazionali, non solo europei, di nuove biblioteche in situazioni di quartieri disagiati, come disagiato è Lorenteggio-Giambellino. Emerge in particolare l’influenza del caso degli “Idea Store” che, nell’East End di Londra dal 1999 al 2008 hanno sostituito le biblioteche di vecchia concezione inserite in edifici vittoriani, scarsamente visitate ed amichevoli. (Una trattazione approfondita degli Idea Store si può trovare qui). Sette Idea Store hanno sostituito dieci vecchie biblioteche.

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La Biblioteca della GAM come appena realizzata (1959)

Se la si vedesse sotto quest’aspetto, potrebbe non essere uno scandalo l’idea di chiudere, a Torino, la Biblioteca della GAM (Galleria d’Arte Moderna), conglobandola nella Biblioteca Nazionale nel quadro di una riorganizzazione in cui le risorse vengano allocate in maniera più razionale.

Potrebbe andar bene, se solo ci fosse – io non l’ho visto – un piano razionale e condiviso di riorganizzazione, e non solo, come parrebbe, un taglio ai servizi.  Nel quadro, certo ineludibile in sè, di riduzione della spesa pubblica. Ma, se la riduzione di spesa viene vista in quanto tale, come taglio, è ben diverso, e ben peggiore, che un ripensamento dell’uso delle risorse affinchè siano più efficaci.  (qui si apre un’altro discorso, che farò in un altro post)

(appunti pubblici per un successivo intervento, che non so se farò, o come “lettera aperta” alla assessorA Leon, o per uno scritto per architetti sulla PresS/Tletter … tanto il mio blogghino lo leggono 4 gatti :).

 

 

Simulacri

Una rielaborazione dei pensieri scritti sulla Biblioteca di Tjianjin qui, ma moderati sul giudizio negativo dello specifico architettonico e ripensato invece in termini più generali, per “addetti ai lavori”, è pubblicata su PresS/Tletter, a questo link

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Il breve scritto è stato ripreso pure da FULMINIESAETTE a questo link

Mettendo sulla mia pagina Facebook il link allo scritto ha fatto un ricco commento  Gaetano di Gesu, tralaltro frequentatore e conoscitore della Cina, e che riporto qui:

Totalmente d’accordo. E’ un simulacro il libro e lo è anche il tema della biblioteca. A cosa serve una biblioteca cosi in un mondo dove da uno smartphone raggiungi qualsiasi testo? Serve a testimoniare la rincorsa cinese di dotare ogni città di un “foro” di attività pubbliche che sono più o meno mutuate dal mondo occidentale. Disegnati da architetti occidentali che in Cina sono sollecitati ad osare perchè i numeri e le dimensioni sono l’unico dato interessante. Questa hall non è uno spazio funzionale, e’ pura messa in scena, una rappresentazione che qui si mostra con lo straniamento di Magritte quando scrive ” Ceci n’est pas une pipe”. Non c’è più niente da conservare nelle biblioteche perchè tutto è disponibile. Allora rimane lo spazio come evento e incontro che è più che sufficiente a garantire la funzione pubblica. Infatti qui ci si incontra forse per presentare libri, fare il prossimo shooting fotografico di moda e si cade dalle scale perchè si fanno i “selfie” non per raggiungere l’ultima copia disponibile del Paradiso Perduto. Questo spazio è un frammento di un foro transitorio voluto dalla municipalità di Tianjin per animare Binhai, un’immensa area di servizio del porto più grande del paese più grande del mondo. Per fare questo hanno chiesto allo studio tedesco Von Gerkan di disegnare il masterplan che prevede oltre a questa biblioteca anche un edificio di Tschumi e altri affidati ad architetti occidentali. Potrebbero essere queste delle occasioni per la cultura occidentale di un contributo autentico ad uno dei più grandi processi di urbanizzazione dell’umanità e invece rimangono operazioni dove anche o più talentuosi cantano l’eccentrico e mettono in scena una raccolta di citazioni che esibiscono il pensiero architettonico europeo come una raccolta di simulacri, appunto. L’architettura è al servizio del marketing urbano e si mostra come una rappresentazione melodrammatica con personaggi che non esistono più. Rimane l’invenzione del marchingegno architettonico. Se non funziona come biblioteca una mano di vernice farà scomparire le immagini dei libri e lo spazio sarà pronto per un’altra rappresentazione. Nessun archeologo del futuro avrà emozione quando riscoprirà questo edificio. Le vere biblioteche cinesi di questi anni sono gli immensi depositi dei big data che si stanno costruendo nelle zone più sperdute del paese. Inaccessibili come la parte più segreta della biblioteca di Adriano .