Malcolm X

Il ballo dei giovani boomers. (prima puntata)

E’ da questa estate, quando sono andato a ballare in serate in cui veniva messa musica new wave anni ’80, che ho voglia di scrivere qualcosa sul ballo nelle disco rock anni ’80. Forse l’incubazione (termine adatto) di questo tema è quasi matura in me. Mi è tornata in mente questa esibizione live alla BBC dei Joy Division, 1979, ora 40 anni fa. L’ossessività molto precisa del loro sound, in particolare in questo pezzo, è marcata dalla inquietante presenza e modo di ballare di Ian Curtis. Fa paura. Comincerei da li. da questo estremo che era il suo modo di ballare, senza finzione, senza mediazione, senza rete. Questo ascoltavano i cosiddetti “boomers” a 16 anni. (non tutti, certo).

Ian Curtis soffriva di epilessia. Morbus sacer, come lo chiamavano gli antichi, che interpretavano gli attacchi di questa malattia come interventi di divinità sul corpo dell’ammorbato.

La tesi che qui provo a proporre è che, durante gli anni 80 del secolo scorso, si completa il percorso sociale e musicale attraverso cui il ballo di musica popolare diviene una manifestazione solipsistica e talvolta narcisistica, laddove in precedenza era una forma di approccio e incontro/corteggiamento fra persone attaverso il contatto. In questo senso Ian Curtis, che muore nel 1980 ma la cui voce percorrerà il decennio successivo, e risuonerà nelle disco nelle serate “new wave”, è l’emblema di questo isolamento solipsistico, disagiato.

Tesi contestabilissima, forse sbagliata. Ma sarà comunque per me, e spero per gli eventuali lettori, piacevole percorrere questa idea anche attraverso gli esempi proposti.

Partiamo dall’inizio. L’inizio è l’inizio del rock, cioè il rock’n roll.

Tutto sommato tutto era già lì, nei movimenti pelvici di Elvis. Elvis individualizzava, divisticamente, il ballo dei neri americani.

C’è una bella scena di Malcolm X di Spike Lee che fa immaginare quel che potevano essere le sale che il non ancora ventenne Malcolm Little frequentava ad Harlem nei primi anni ’40. Nello specifico, la Roseland Ballroom, dove aveva lavorato come lustrascarpe.

Leggiamo dalla autobiografia di Malcolm X questa nota sul ballo: “Ero in mezzo alla folla delle coppie che si agitavano furiosamente al ritmo della musica quando d’improvviso seppi come si faceva. Fu come se improvvisamente qualcuno avesse acceso una luce. I miei istinti africani per tanto tempo repressi esplosero e si scatenarono con tutta la loro violenza.   Forse perché ero stato tanto tempo a in mezzo ai bianchi a Mason, avevo sempre creduto e temuto che ballare richiedesse un certo ordine o un insieme di passi e figure specifiche, così come il ballo è concepito dai bianchi. Ma qui tra la mia gente molto meno inibita di quelli, mi accorsi che si trattava semplicemente di lasciare che i piedi, le mani e tutto il corpo si abbandonassero spontaneamente a quegli impulsi che la la musica stimolava”  E ancora: “I bianchi hanno ragione di credere che i negri siano dei ballerini nati. Lo sono anche i bambini, fatta eccezione per quei negri di oggi che sono cosi “integrati”, come lo ero stato io, che i loro istinti sono inibiti” (Alex Haley e Malcolm X, Autobiografia di Malcolm X)

 

1- continua