Antonioni blow up

Il ballo dei giovani boomers, parte 3 – Psyco can’t dance

È interessante notare che, fino alla fine anni 60, l’immaginario collettivo nei paesi occidentali era sempre ottimistico. Sia le utopie anarco pacifiste, sia le visioni del mondo più concretamente legate al progresso tecnologico ed alla crescita economica resa possibile dal capitalismo erano fondamentalmente ottimistiche, ed alleate fra loro nella distruzione dei residui delle culture tradizionali, di origine premoderna. Questo accadeva – direi coerentemente – anche quando gli occidentali andavano a impossessarsi e conoscere altre culture tradizioni, tipo quella indiana. Un interesse che ebbe certamente un ruolo nella cosidetta Psychedelic Era.

Penso che le idee psichedeliche ebbero un ruolo di snodo e trapasso importante in questa narrazione. Certo non è questa la sede per una trattazione dell’argomento, secondo me non sufficientemente trattato sul piano della storia sociale delle idee.

Il ballo della psichedelia non poteva che essere una trance, e in definitiva solo mentale. La psichedelia inaugura una fase di crisi del precedente assetto, ballo musicale compreso. Il ballo scompare sostanzialmente dal rock post psichedelico, se non come trance. Una trance non mistica. Non è un dio o un demone che si impossessa del corpo. Ma è lo strato profondo, intimo, in termini freudiani l'”ES”, che erompe, una volta narcotizzato non solo il Super-Io ma l’ Io stesso. Al massimo in un afflato panteistico di fusione cosmica. E tuttavia, com’è intuibile, se il ballo è pura espressione delle pulsioni profonde dell’individuo, non ha più mediazione, e dunque non è più, in fondo, ballo.

Un processo che continuò pure in quelle espressioni musicali che oggi vengono chiamate “progressive”,  quella espansione eclettica in mille direzioni di una certa psichedelia, (laddove il rock psichedelico più garage sopravviverà identico sottotraccia, underground, fino al suo recupero in veste punk).

Mi piace mettere qui la “scena degli Yardbirds” di Blow Up di Michelangelo Antonioni, del 1966, stesso anno di Uccellacci ed Uccellini. Pasolini ci rappresenta i ragazzi di borgata che si “acculturano” con i nuovi balli; Antonioni si mostra l’avanguardia, quel che verrà in seguito in provincia: a Londra non si balla più, non necessariamente; l’individuo è solo, disincantato. Si agita per feticci.

La musica dance nera americana invece prosegue col funk e si commercializza anche per i bianchi con la disco music, dissociandosi dal rock. I generi diventano discografici, si specializzano. Gli States, grande fucina dello spettacolo, alimenta i musical con i suoi corpi da ballo, e mette a segno con successo al cinema il revival della età aurea del rock (American Graffiti 1973, Grease 1978) e la diffusione della Disco (Saturday Night Fever, 1977)

Il nostro boomer, diventato ragazzino, ha due strade: quella ordinaria, integrata, del divertimento (disimpegno), della disco music. Quella diversa, alternativa, se vogliamo più impegnata, antagonistica: il rock che non è più ballabile, ma diventa musica da ascolto e/o sballo. Certe dicotomie erano sicuramente fasulle, per certi versi forse incomprensibili fuori dall’Europa e nel mondo anglosassone. Ma una cosa è certa: non si può ballare i Pink Floyd, i Genesis, i Deep Purple, i Led Zeppelin, e questo vale per quasi tutto il panorama rock di allora.

Alcuni autori rock di qualità si smarcano e mischiano le carte recuperando il ballo: come David Bowie, Roxy Music (Siren, 1975) , Lou Reed (Sally can’t dance, 1974) e gli stessi Rolling Stones (Black and blue, 1976). David Bowie in particolare intuisce alcune tendenze che diventeranno presto nuove e dominanti: recupero della Dance, associato alla Elettronica. Un processo che parte da Young Americans (1975) e continua, arricchendosi in modo non banale con Station to Station (1976) e poi Low e Heroes (1977) questi due ultimi in collaborazione con Eno, fuoriuscito dai Roxy che avrà un ruolo fondamentale come produttore negli anni successivi.

Bowie andò a presentare un pezzo di Young Americans, Golden years, ad una popolare trasmissione di musica nera, Soul Train.

il riff di un altro pezzo tratto da Young Americans, Fame, scritto con John Lennon e Carlos Alomar sarà così convincentemente funk da essere utilizzato nello stesso anno da James Brown per il suo singolo Hot

Abbiamo scollinato la metà degli anni ’70, il nostro boomer è adolescente, quando irrompe il punk – new wave, che cambia tutto il quadro, spazzando via definitivamente l’era psichedelica/progressive e le sue utopie.

(3 -continua)